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rassegna stampa calabrese
Provincia: Crotone
Comune: Ciro´ Marina
Località: Punta Alice
Argomento: Cultura
Cirò Marina: I giorni della Lince a Punta Alice
Di solito, sono gli storici a ricostruire gli avvenimenti importanti del passato. Questa volta, l’eccezione è rappresentata da un ex-marinaio, Antonino Trifirò, che è riuscito a mettere insieme la storia della torpediniera Lince e del suo equipaggio composto di 160 uomini e a rintracciare il cuoco di bordo, Bruno Lombardi, che è proprietario di un albergo nella frazione marina di San Mauro Pascoli (Forlì). Ebbene, quando ha saputo che Antonino Trifirò era di Cirò Marina, Bruno Lombardi è scoppiato a piangere ed ha mormorato “Vi siete ricordati di noi...”
Sì, perché sui fondali marini della città di Cirò Marina giace il relitto della torpediniera Lince, una delle unità della Regia marina militare italiana, che s’incagliò nel mare di Punta Alice il 4 agosto del 1943 e fu affondata il 28 agosto del 1943 dal sommergibile inglese Ultor. Il sommergibile nemico lanciò due siluri, facendo saltare in aria la poppa della nave ed uccidendo dodici marinai, che erano a bordo.
Il resto dell’equipaggio era sulla spiaggia prospiciente, dove era stato allestito il campo militare. La fortissima esplosione investì anche il peschereccio della famiglia Martino, che si trovava a 20-30 metri dalla riva e a qualche metro di distanza dalla Lince, e provocò la morte di un bambino della frazione Marina di Cirò (l’attuale Cirò Marina), che, quella mattina, era sulla spiaggia ed era stato accolto sull’imbarcazione a remi, perché voleva assistere alla pesca.
Del bambino si ricorda solo il cognome “Tridico”: il suo corpo non fu più ritrovato. Riuscirono invece a sopravvivere all’esplosione i pescatori della famiglia Martino, il capofamiglia Francesco e i figli Pietro e Vincenzo, ma l’allora ventenne Pietro perse una gamba, maciullatagli da una delle lamiere della nave. Il giovane uomo fu soccorso da un altro peschereccio, quello della famiglia Malena, fu trasportato con un treno merci a Rossano, dove gli amputarono la gamba.
Ancora oggi, il signor Pietro Martino rivive quelle ore terribili e le mette in relazione con la quiete che precedette la tragedia, vale a dire con il momento in cui il bambino chiese loro di salire sul peschereccio (capitava spesso ai pescatori d’imbarcare dei bambini) e con il momento in cui il loro peschereccio affiancò la Lince e un alto ufficiale, che passeggiava sul ponte della torpediniera, rispose al loro saluto.
Quando il primo siluro colpì la torpediniera, Pietro, alla vista di quell’inferno, domandò meccanicamente al padre Francesco “papà dov’é andato il comandante?”, poi esclamò come inebetito “papà, mi manca una gamba: mi ha colpito qualche lamiera”.
Il funerale dei dodici marinai della Lince fu officiato da don Ernesto Terminelli nella chiesa di San Cataldo Vescovo, dove gli addolorati commilitoni recitarono la preghiera del marinaio. Dopodiché, essi si disposero a partire e ad ubbidire a nuovi comandi. A Punta Alice, l’equipaggio superstite smantellò il campo militare e si accomiatò dagli abitanti del borgo della Marina con i quali aveva stretto rapidamente amicizia. I racconti fioriti all’epoca sono un’infinità: per esempio, sembra che una donna del posto dovette impiegare due giorni per estrarre le spine dei fichi d’india che un goloso marinaio del nord si era nascosto sotto la maglia.
Un racconto vero riguarda invece un marinaio di Cariati, Francesco Donnici, che fu destinato dai suoi superiori a stare di guardia alla Lince e che conobbe una ragazza della Marina, con la quale successivamente si sposò, stabilendosi a Cirò Marina, dove vive tutt’oggi.
Non meno suggestivo è l’indizio ch