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rassegna stampa calabrese
Provincia: Crotone
Comune: Crotone
Argomento: Cronaca
Crotone: Ma quei beni non era possibile sequestrarli
Alfonso Mannolo non poteva essere sottoposto alla misura della sorveglianza speciale e, in mancanza di questo requisito essenziale, non potevano essere sequestrati i suoi beni né quelli dei suoi familiari. E’ quanto ritiene la corte d’appello di Catanzaro (Caterina Chiaravalloti presidente, Giovanni Garofalo e Donatella Garcea consiglieri) che ha accolto il ricorso dell’avvocato Giuseppe Carvelli, difensore di Alfonso Mannolo, il 68enne di San Leonardo di Cutro indicato dagli inquirenti come il capo di un’omonima cosca.
Con un’ordinanza depositata l’11 febbraio scorso i giudici della corte d’appello hanno revocato sia la misura della sorveglianza speciale che era stata inflitta a Mannolo che il sequestro dei beni. Entrambi i provvedimenti erano stati adottati a giugno dello scorso anno dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Crotone presieduta dal giudice Michele Sessa; intanto, nel successivo mese di ottobre, lo stesso Tribunale aveva disposto anche la confisca di quei beni: quattro ville con giardino, un fabbricato, due autovetture, conti correnti bancari e postali, titoli; un patrimonio valutato circa due milioni di euro del quale ora, in conseguenza della revoca delle misure, viene ordinata la restituzione ai legittimi proprietari.
Nell’ordinanza i giudici dell’appello parlano infatti di “assenza di elementi idonei a suffragare il giudizio di pericolosità sociale” di Alfonso Mannolo “con riferimento agli indizi in ordine all’appartenenza ad un sodalizio criminoso”. Tra gli elementi sui quali si basava il giudice di primo grado - sottolinea la corte - c’erano anzitutto le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, quindi i precedenti penali e giudiziari, le frequentazioni con altri pregiudicati e un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione mafiosa ed estorsione. Elementi che a detta dei giudici dell’appello non possono essere ritenuti sufficienti per l’adozione della misura della sorveglianza speciale; intanto perché i precedenti penali e le dichiarazioni dei collaboratori - peraltro alquanto generiche - sono state già utilizzate nel 1995 per sottoporre Mannolo ad un’altra misura di prevenzione. Quei fatti, dunque, “non solo sono riferibili ad un periodo temporale alquanto risalente ma sono altresì già stati oggetto di giudicato. Pertanto tali elementi potrebbero essere presi in considerazione solo quali fatti ulteriori rispetto ad altri di per sè idonei a legittimare un nuovo provvedimento di applicazione di misura di prevenzione”. Relativamente alla custodia cautelare in carcere per associazione mafiosa ed estorsione i giudici dell’appello osservano che Mannolo è stato successivamente assolto; e seppure la suprema corte ha stabilito che gli indici di pericolosità sociale di un soggetto possono ben desumersi anche da una sentenza assolutoria “tuttavia è necessario che in tale sentenza possano rinvenirsi quanto meno degli indizi di appartenenza di un soggetto a un sodalizio criminoso o i suoi legami con ambienti criminali”. Indizi che nella sentenza assolutoria di Mannolo non è possibile rinvenire.
Se, dunque, dev’essere annullato il decreto di applicazione della sorveglianza speciale, ne consegue anche “la caducazione del provvedimento applicativo della misura patrimoniale”.